Avere nuovi occhi

Il vero viaggio dello scoprire non consiste nel vedere paesaggi nuovi, ma nell’avere nuovi occhi.

Con questa frase di Proust in testa, inizio a giocare con la tastiera del computer per raccontarvi la mia avventura nelle Terre del mattino.
Immagini diverse ed apparentemente contrastanti riaffiorano dalla mia memoria evocando il nome Giappone.

Antichi templi dove il tempo sembra rallentare e città futuribili dove la sua corsa si fa inarrestabile.
Colline ricoperte di verdi boschi da percorrere lentamente a piedi e treni ad alta velocità che annullano le distanze.
Geishe avvolte in eleganti kimono e frenetici uomini d’affari in giacca e cravatta nera.
Villaggi di tranquilli pescatori che alla sera diventano deserti e sovraffollate metropoli che pulsano di luci al neon.
Parchi sconfinati che regalano panorami da cartolina e città dove lo smog non permette di vedere il cielo.

La singolare coesistenza di antico e moderno è uno degli aspetti che rendono un viaggio in Giappone un’esperienza indimenticabile.

Nelle varie tappe di questo viaggio alla scoperta del Paese del sol levante sono rimasto affascinato dalle caratteristiche proprie della cultura di questo popolo, che offre continuamente situazioni che si vestono da contraddizioni per gli occhi di un occidentale. Dalla precisione e meticolosità che sconfina nella frenesia con cui si muovono nell’adempimento delle proprie mansioni, i giapponesi mutano velocità quando seguono i tempi quasi rituali della cura della persona e dei pasti.

La cortesia che permea ogni comportamento si manifesta in maniera evidente nella gestualità.
In qualche occasione, quando cerca di soddisfare le esigenze occidentali alle quali per noi è impegnativo sottrarci, entra in contrasto con la rigida etichetta che qui regola qualsiasi rapporto tra le persone.

Alcune situazioni che ho vissuto e visto mi hanno fatto riflettere sull’attenzione e il rispetto che richiede il venire a contatto con occhi che vedono realmente il mondo in maniera differente.

Giappone Hokkaido

La fortuna di inseguire i sogni

Mercoledì 22 giugno saluto il mio Trentino e prendo il treno diretto a Milano dove incontrerò gli altri componenti della rappresentativa italiana.

La prima destinazione è il formicaio di Tokyo, dal quale prenderò il volo per la più settentrionale delle isole che formano il Giappone: Hokkaido. Qui, attorno al maestoso lago Saroma, si svolgeranno i campionati del mondo di corsa sulla distanza di cento chilometri.

In valigia ho messo una preparazione fisica che, grazie ai chilometri macinati nel corso della primavera, lascia credito ai sogni.
Il mio, dopo aver corso il Passatore in sette ore e quattordici lo scorso anno, è quello di percorrere la distanza in meno di sette ore… difficile, ma non per questo impossibile.

Ho trovato posto anche per i dubbi che sempre accompagnano l’approssimarsi di una prova impegnativa come la 100 km.
Penso soprattutto allo sforzo che il mio organismo dovrà sostenere per adattarsi in breve tempo ad un ambiente ed a orari inusuali.

La partenza della corsa è fissata per le cinque del mattino di domenica 26 giugno.

Poiché soggiorniamo in un incantevole hotel affacciato sul lago circa a metà del percorso, dobbiamo raggiungere la partenza con un autobus. Punto la sveglia alle due, ma è superflua: non chiudo occhio, per il mio ritmo sonno-veglia è ancora pomeriggio.

Gli ultimi preparativi, le foto di rito, la consegna degli indumenti, l’attesa del via.Tutto si svolge regolarmente, e come potrebbe essere altrimenti in questo paese che ha fatto dell’organizzazione e della sinergia la propria bandiera.

Saroma Ultramarathon - partenza

Sulla linea di partenza ho il tempo per fermare un attimo i pensieri.

Quanta strada, quanti volti, quante emozioni seguendo questa passione che si chiama corsa.

Da quella sera del dicembre 1994 in cui sono uscito di casa in scarpette da corsa con l’idea di iniziare ad allenarmi ad oggi, qui, dall’altra parte del mondo.

Mi sento fortunato ad avere la possibilità di inseguire i sogni… fosse anche per 100 km.

Già nei primi chilometri c’è chi tenta di prendere il volo, ma io cerco di ascoltare le mie sensazioni più che seguire le orme degli altri. Riesco così a correre sciolto per 35 chilometri quando qualcosa nell’equilibrio si rompe… devo fermarmi più volte per problemi intestinali e quando riparto non riesco più a correre con il medesimo ritmo.

Il momento più difficile in una corsa di resistenza è quando ti rendi conto che quello non sarà il tuo giorno, che non riuscirai a valorizzare il lavoro svolto nei mesi precedenti, che da lì al traguardo oltre alla fatica incontrerai anche il dolore.

Correndo le gare di lunga lena però ho imparato a valutare le prestazioni atletiche in modo differente.

Attribuisco maggior importanza al fatto di provare ad affrontare e gestire le difficoltà che di volta in volta incontro sul mio cammino piuttosto che inseguire senza fine le condizioni ottimali per una dimostrazione di forza abbandonando alla prima avversità.

Fisso nella mia mente la frase “l’equilibrio è più importante della forza”.

Il mio corpo però non sembra apprezzare molto questa filosofia e manda segnali di disapprovazione: nonostante beva diligentemente ad ogni ristoro il senso di disidratazione è crescente e la gestualità di corsa risente del progressivo indurimento della muscolatura.

È proprio dolore quello che provo ad ogni passo cercando di allungare una falcata che si sta spegnendo, nelle discese la situazione peggiora addirittura.

Lake Saroma 100km

Mi trovo nella parte più collinare di questo percorso ed ho coperto solamente metà della distanza di gara. In questo momento i dubbi che avevo tenuto lontano tornano a sussurrare al mio orecchio e mi chiedono il perché di ciò che sto facendo. Per qualche tratto cammino per recuperare ma anche per riuscire ad ordinare le idee.

Accantonati obiettivi cronometrici e velleità, sto cercando un significato da dare a questa corsa.

Fermarmi sperando in occasioni migliori mi permetterebbe di recuperare presto lo sforzo ma mi terrebbe lontano dal conoscere la vera natura di una prova di resistenza come questa.

Perseverare, non inteso come inseguire ciecamente un miraggio, ma affrontare le asperità della vita con la consapevolezza che vittorie e sconfitte non sono altro che i passi della nostra corsa… penso sia questo l’insegnamento che la 100 km regala a quanti ne subiscono il fascino.

Trovata la mia stella polare faccio rotta verso il traguardo ma il viaggio è una lenta agonia.

Qualche scorcio panoramico si insinua nella fatica e riesce ad imprimersi indelebilmente nella memoria: l’azzurro intenso di questo gigantesco lago, l’arancio di una distesa di gigli nel sottobosco, l’irruenza dei cavalloni che si infrangono lungo la costa dell’oceano, l’incitamento ed il tangibile rispetto degli abitanti locali, il ritmo dei tradizionali tamburi, il verso delle numerose civette nascoste nei boschi.

Intanto il vento ed il sole sferzano la mia pelle, il refrigerio donato dalle tinozze di acqua e ghiaccio che incontriamo lungo il percorso ha breve durata ma scandisce il lento approssimarsi del traguardo.

Concludo questa esperienza in nove ore e quarantanove, veramente provato. Al traguardo, che sembra più un’infermeria, apprendo che il gran caldo ha mietuto numerose vittime.

Mi sdraio con del ghiaccio, nei volti e negli sguardi di chi incontro riconosco i segni della fatica.
È stata una giornata impegnativa per tutti.

A sera il rito tradizionale dell’ofuro, il bagno di vapore e dell’immersione in vasche d’acqua calda e fredda, mi permette di recuperare qualche energia per affrontare il lungo e frazionato riavvicinamento a Tokyo, previsto a partire dal giorno successivo.

Mentre pigio sui tasti sempre più immagini si fanno riconoscere dal calderone della memoria e disegnano un sorriso sul mio volto, ma ho approfittato della vostra attenzione a sufficienza.
Sayonara.

Cristiano